Scommettere sulla fiducia: un gioco a vincita multipla

Bernardino Meloni – Psicologo psicoterapeuta

Prendete quattro minuti e guardate questo breve cartone animato: il cagnolino Joy difende dall’airone Heron le esche che il suo padrone sta usando per la pesca. Per Heron le esche sono invece cibo comodo da rubare. Joy, abbaiando, allontana Heron più volte. Ma poco dopo sarà lo stesso Joy a regalargli le esche: cosa ha permesso questo cambiamento radicale nel simpatico cagnolino bianco? Semplicemente, Joy ha avuto modo di capire quale fosse la ragione di Heron. Vedere che l’airone portasse i vermetti ai suoi piccoli per sfamarli ha permesso un cambio di prospettiva, una narrazione differente: Heron non è più un ladro ma, agli occhi di Joy, diventa un genitore preoccupato per i suoi piccoli affamati, un genitore preoccupato e coraggioso al punto da sfidare un cane e un essere umano. Capire Heron esiterà nel gesto empatico. Succede che Joy non pensi più “Chi ha ragione?” ma “Che ragione ha Heron per rubare le esche?”. 

Il punto fondamentale sembra essere non tanto scoprire quale sia la ragione di Heron ma credere che ci sia una spiegazione differente. A fare la differenza è la disponibilità a porsi la domanda (“Quale motivazione potrà mai avere?”) o, per dirla in altri termini, la disponibilità a dare fiducia.

In merito, P. Ferrucci (2004) dice che:

“Dare fiducia è rischioso. È una scommessa. Ogni volta che do fiducia mi comprometto. […] Se mi fido di un amico, posso essere tradito. Nel caso di un compagno, posso essere abbandonato. […] Spesso, troppo spesso, va a finire così. Ma l’alternativa è ancora peggiore. Perché, se non scommetto, se non mi metto in gioco, non succede niente: non c’è relazione, non c’è coinvolgimento, non c’è vita”.

Altrettanto importante è credere che l’altro non abbia necessariamente motivazioni malevoli (nel nostro caso, pensare solo che Heron sia un ladro). Scrive W. R. Beavers (1986):

“Vi è uno stretto rapporto tra il funzionamento della famiglia e della coppia e la convinzione comune che le persone vicine abbiano motivazioni non malevoli. […] La fragilità umana non viene considerata cattiveria e perversione. Quando il marito si dimentica di un compleanno, […] i bambini dicono una frase oscena, distruggono una pianta o tormentano un animale, se si è convinti della malvagità di base degli altri si dispone di spiegazioni rassicuranti e semplici, ma si limita o si danneggia un rapporto. […] si produce un allontanamento tra le persone.”

Le relazioni sane, secondo Beavers, sono quelle in cui non si pensa immediatamente male dell’altro ma gli si dà una possibilità. Invece, spesso, partiamo dall’idea di possedere la verità, dimenticandoci che quest’ultima sia relativa e soggettiva, e costruiamo una nostra descrizione dell’altro, una definizione rigida, difficilmente modificabile, a due dimensioni: mio marito è insensibile, mia moglie è succube di sua madre, mio figlio è un fannullone, quel collega è davvero saccente! 

P. Watzlawick (1976) sosteneva che “La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa delle illusioni”.

Il risultato è che ci si allontana, la relazione si deteriora, l’empatia si spegne. Diventiamo ciechi e sordi: non osserviamo le azioni dell’altro e non ascoltiamo le sue parole, ci facciamo bastare quell’unica spiegazione, ci illudiamo di sapere già tutto. Spesso, inconsapevolmente, troviamo il modo per confermare la nostra “realtà”, la nostra interpretazione dell’altro e dei suoi comportamenti. In altre parole, non siamo disponibili a immaginare spiegazioni differenti, non siamo disponibili alla relazione.

La psicoterapia stimola la riflessione su noi stessi e sugli altri, sui nostri e sui loro comportamenti ed emozioni. Quando la sofferenza riguarda un familiare, ho la possibilità, in accordo con il paziente, di invitare il familiare stesso così come l’intera famiglia. La “realtà” raccontata dal mio paziente è sempre una lettura dei fatti che sia io che il paziente dovremo provare a integrare con quella raccontata dagli altri presenti. In merito Yalom invita a “guardare dal finestrino dell’altro”, guardare ciò che ci circonda cambiando sedile.

Fare l’esperienza del punto di vista di un fratello, di un genitore, del marito, all’interno di un contesto empatico che valorizzi l’espressione delle proprie emozioni, aiuta a conoscerci meglio e a capire noi stessi e gli altri. Questo processo tende alla costruzione di una nuova narrazione, congiunta e maggiormente consapevole, e può, alle volte, favorire uno sguardo reciprocamente indulgente e il riavvicinamento dove c’era una relazione sofferente.

Tornando al video quindi, potremmo dire che Joy, animato dall’idea che Heron non abbia intenzioni negative, scelga di dargli fiducia, assumendosi il rischio di perdere le esche ed essere sgridato dal padrone, ma guadagnando un’apertura nella relazione.

Ampliando il nostro sguardo diventiamo più accoglienti oltre che con le altre persone anche verso noi stessi. Quando riusciamo a cambiare prospettiva, l’empatia si riaccende e ci sentiamo arricchiti. La relazione è a tre dimensioni.

Proprio come nel finale del cartone animato: la relazione torna a essere un gioco a vincita multipla poiché tutti i partecipanti vincono. 

Bibliografia

  • W. Robert Beavers, “Il matrimonio riuscito”, 1986, Casa Editrice Astrolabio;
  • G. Cambiaso, R. Mazza, “Tra intrapsichico e trigenerazionale. La psicoterapia individuale al tempo della complessità”, 2018, Raffaello Cortina Editore;
  • S. Cirillo, M. Selvini, A. M. Sorrentio, “Entrare in terapia. Le sette porte della terapia sistemica”, 2016. Raffaello Cortina Editore.
  • P. Ferrucci, “La forza della gentilezza”, 2004, Mondadori Editore;
  • M. Selvini, “Reinventare la psicoterapia. La scuola di Mara Selvini Palazzoli”, 2004, Raffaello Cortina Editore;
  • P. Watzlawick, “La realtà della realtà”, 1976, Casa Editrice Astrolabio.
  • I. Yalom, “Il dono della terapia”, 2002, Neri Pozza Editore

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