Storie di ordinario isolamento e straordinario adattamento in RSA
Dott.ssa Alessandra Genovese

Lavoro ormai da quasi vent’anni, a vario titolo, nel campo della psicologia gerontologica e delle relazioni familiari. Ho sempre avuto il desiderio e la possibilità di lavorare con la fascia anziana in modo sistemico, focalizzandomi sul singolo in quanto soggetto inserito all’interno di una rete di relazioni significative, principalmente quelle familiari.
In particolare, dal 2008 lavoro nella realtà delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali per anziani non autosufficienti, affetti da patologie croniche e/o degenerative) come psicologa consulente. In questo ambito, il mio lavoro è diretto non solo agli ospiti della Struttura ma anche ai loro familiari ed agli operatori che si occupano della cura ed assistenza quotidiana dei pazienti.
E’ evidente, in questo tipo di contesto, l’utilità e l’importanza di un approccio sistemico-relazionale nella presa in carico delle difficoltà emotive e nel supporto all’ospite, il quale risulta appunto inserito in una rete complessa di RELAZIONI, inevitabilmente connesse fra loro. Le dinamiche affettive e relazionali tra ospiti, familiari ed operatori appaiono influenzarsi reciprocamente, ed il benessere degli uni sembra spesso condizionare ed essere condizionato dal benessere degli altri.
In questo periodo così delicato, quando ormai da quasi due mesi sono state vietate le visite da parte dei parenti in Struttura a causa dell’emergenza Covid-19, il rapporto di fiducia che si è instaurato nel tempo tra i familiari ed il personale (laddove questo è accaduto) rappresenta un fattore protettivo fondamentale rispetto alla salute psicologica ed emotiva degli ospiti, che possono affrontare l’isolamento con relativa serenità e con la fiducia di essere ‘in buone mani’, anche senza il controllo costante e l’intervento attivo dei loro cari, confinati a casa ma altrettanto tranquilli (seppur molto dispiaciuti). Viceversa, dove questo legame di fiducia era in qualche modo deficitario, affrontare la separazione forzata è risultato un momento di grande fatica, ansia e preoccupazione, persino rabbia e forte resistenza nell’accettare il provvedimento (preso dalla Direzione, in via preventiva e cautelativa, già dal 23 febbraio, diversi giorni prima del decreto ufficiale da parte del Governo). Di grande aiuto è stata, in questo senso, l’attivazione di videochiamate, gestite dal personale psicosocioeducativo (ma a volte anche spontaneamente dal personale sanitario ed ausiliario), che hanno permesso di mantenere i contatti fra gli ospiti e i loro familiari.
In generale, sono rimasta colpita e sollevata dalle reazioni dei nostri anziani all’emergenza.
Inizialmente, sono apparsi tranquilli e per nulla spaventati dal VIRUS, che vivevano come un problema FUORI dalla struttura e DISTANTE dalla loro quotidianità; di conseguenza, sono stati in alcuni casi polemici rispetto al modificarsi della loro quotidianità (tanto routinaria quanto rassicurante), all’interrompersi delle attività animative di gruppo, all’impossibilità improvvisa di andare dalla parrucchiera, di uscire al mercato, di vedere la Tv insieme in salone, di riunirsi per la Messa del sabato. Ma hanno cercato di ri-adattarsi, trovando nuovi modi di impegnare il tempo: “Io, per non pensare, disegno per ore…“ racconta Agata, 94 anni, dispiaciuta però di non poter più vedere il suo “caro amico Ferruccio” (al quale è ‘affettuosamente’ legata da due anni) ricoverato su un altro piano e, a sua volta, impegnato tutti i pomeriggi a colorare mandala (sua grande passione), mentre ascolta musica classica su radio Marconi. Anche Irene, 86 anni, mi dice: “Io sto bene, sono tranquilla, faccio la mia ‘settimana enigmistica’ e non mi preoccupo. Qui mi vogliono tutti bene ed io voglio bene a loro (riferendosi agli operatori asa e agli infermieri, ndr). Mi spiace solo vederli correre tanto, perché vedo che hanno tanto da fare poverini.”
Più sofferto, invece, è stato il divieto di visita da parte dei loro cari (per alcuni un’abitudine quotidiana, per altri il momento più atteso della settimana): “A me non importa niente del virus, del contagio e di tutte queste vostre stupidate! A me importa solo non poter vedere il mio Luigi, che mi manca tanto!” mi dice arrabbiata e commossa Maria, 85 anni, lamentando l’assenza del figlio.
Si sono, tuttavia, anche in questo caso, ammirevolmente adattati alla situazione, che è diventata progressivamente sempre più restrittiva (con l’aggravarsi dell’emergenza a livello sanitario) fino alla necessità di isolare gli ospiti in camera tutto il giorno, senza più neanche il permesso di condividere i pasti nella sala da pranzo, momento conviviale fondamentale.
Rosa, 89 anni: “Oggi sono uscita a fare due passi in corridoio con il deambulatore, tanto non c’era nessuno.. ma ho sentito qualcuno che urlava Rosa! Rosaaa!! L’infermiere mi ha scoperta subito e mi ha fatto tornare indietro!!” mi racconta divertita e sconsolata, chiedendomi il senso del divieto a spostarsi sul piano e già progettando la prossima ‘fuga in solitaria’. Misure estreme, non sempre quindi condivise dagli ospiti nella loro utilità, tuttavia necessarie per tutelarli dal rischio di un contagio che avrebbe potuto avere esiti drammatici, come purtroppo è accaduto in molti casi, apparsi sui media negli ultimi giorni.
Luisa, 98 anni: “Dottoressa io sto bene, sento le mie nipoti tutti i giorni al telefono, non mi manca nulla.. ma sto mangiando poco perché non mi sto più muovendo e ho paura di ingrassare, già i pantaloni iniziano a tirare!” mi dice ridendo.
Purtroppo il virus non ha risparmiato le due RSA in cui lavoro ma è stato fatto tutto quello che era possibile per limitare la diffusione del contagio e, ad oggi, grazie ad un responsabile ed immenso sforzo da parte degli operatori sanitari, a tutti i livelli, il numero dei pazienti coinvolti è minimo.
Ada, 79 anni: “Sa dottoressa, dopo tanti giorni di isolamento forzato inizia a pesare un po’ la situazione, devo dirlo.. però poi mi sento quasi in colpa a lamentarmi, perché in fondo siamo fortunati e ci sono tante situazioni molto peggiori: noi stiamo bene, al sicuro, diciamo servite e riverite..(ridendo) Però con le altre signore del mio tavolo ci vogliamo bene e ora, capirà, ci manchiamo!”
E gli Ospiti hanno confermato e stanno confermando quella che è sempre stata una (non solo mia) convinzione di base: il modo nel quale gli individui reagiscono ai cambiamenti e agli eventi critici è influenzato dalla loro rete di relazioni.Qualche giorno fa ho parlato al telefono con la familiare di un’ospite, ricoverata in un reparto in cui era stato accertato un caso positivo: “Dottoressa avrei voluto portare la mamma in isolamento a casa, da un’amica che in questo momento è fuori Milano, e le porterei io i pasti tre volte al giorno. Il problema è che mia mamma non vuole, mi ha detto subito ASSOLUTAMENTE NO perché non vuole vivere al sicuro ma in solitudine, non vuole lasciare la sua compagna di stanza, si sente più serena in Struttura, con infermieri e operatori. E’ irremovibile!”
Esiste un nesso tra condizione anziana, benessere e relazioni sociali ed il bisogno di salute dell’anziano è strettamente connesso al bisogno di vivere in una relazione significativa e di scambio con gli altri. Questo è il rischio di maggiore sofferenza, durante l’emergenza,negli anziani ricoverati con cui mi confronto: il vissuto di perdita dei legami, fonte irrinunciabile di senso e significato.E questo è il grande valore aggiunto del nostro lavoro in RSA: la possibilità, attraverso l’ascolto attivo e la presenza empatica, di mantenere intatto il senso di sé, attraverso il riconoscimento di ciascuno come soggetto (non più e non solo oggetto) della cura, soggetto che continua a vivere all’interno di relazioni significative e significanti.